La luce azzurra


Das blaue Licht


C'era una volta un re che aveva un soldato al suo servizio, e quando questi invecchiò e non pot‚ più lavorare, lo mandò via senza dargli nulla. Il soldato non sapeva come campare; se ne andò tutto triste e camminò per tutto il giorno, finché‚ a sera giunse in un bosco. Vi entrò e poco dopo vide una luce che lo guidò, e giunse a una casa dove abitava una strega. Egli la pregò di dargli un giaciglio per la notte, qualcosa da mangiare e da bere; ella rifiutò, ma poi disse: -Ti ospiterò per misericordia, però tu domani devi vangare il mio giardino-. Il soldato promise di farlo e così fu alloggiato. Il giorno dopo vangò il giardino della strega e lavorò fino a sera. Ella voleva mandarlo via, ma egli disse: -Sono tanto stanco, lasciami rimanere ancora una notte!-. La strega non voleva, ma poi finì coll'accettare: il giorno dopo, però, il soldato doveva spaccarle un carro pieno di legna. Così il secondo giorno il soldato spaccò la legna, e alla sera aveva lavorato tanto che non se la sentì nuovamente di andarsene e le chiese asilo per la terza volta. Il giorno dopo egli doveva, però, ripescare dal pozzo la luce azzurra. La strega lo portò così al pozzo, lo legò a una lunga corda, ed egli vi si calò.
Quando fu sul fondo, trovò la luce azzurra e fece segno alla vecchia per risalire. La strega lo tirò su, ma quando egli fu vicino all'orlo, così vicino che poteva toccarlo con la mano, ella volle prendergli la luce azzurra per poi lasciarlo ricadere sul fondo. Ma egli si accorse delle sue cattive intenzioni e disse: -No, non ti do la luce azzurra se prima non ho toccato terra con tutti e due i piedi-. Allora la strega s'infuriò, lo lasciò cadere nel pozzo con la luce e se ne andò. Il soldato era tutto triste, là sotto in quel pantano umido al buio, e pensava già alla sua fine. Per caso gli venne fra le mani la sua pipa, ancora mezzo piena, e pensò: "Sarà il tuo ultimo piacere!." L'accese alla luce azzurra e si mise a fumare. Quando il fumo si sparse un poco nel pozzo, apparve d'un tratto un omino nero che gli chiese: -Padrone, cosa comandi?-. Il soldato rispose: -Cosa devo comandarti?-. L'omino replicò: -Devo fare tutto quello che vuoi-. -Allora, prima di tutto, aiutami a uscire dal pozzo!- L'omino nero lo prese per mano e lo condusse fuori, portando con s‚ la luce azzurra. Poi il soldato disse: -Adesso ammazzami la strega-. Dopo aver fatto anche questo, l'omino gli mostrò l'oro e i tesori della vecchia, e il soldato li prese caricandoseli sulle spalle. Poi l'omino disse: -Se hai bisogno di me, non hai che da accendere la pipa alla luce azzurra-. Il soldato si recò quindi in città, nella migliore locanda, si fece fare bei vestiti, e ordinò all'oste di arredargli una camera il più sfarzosamente possibile. Quando fu pronta, il soldato chiamò l'omino nero e disse: -Il re mi ha cacciato facendomi patire la fame, poiché‚ non potevo più servirlo; questa sera portami qui la principessa: mi farà da serva ed eseguirà i miei ordini-. L'omino disse: -E' cosa rischiosa-. Tuttavia andò a prendere la principessa; la sollevò dal suo letto mentre dormiva, la portò al soldato, ed ella dovette obbedirgli e fare ciò che egli le ordinava. Al mattino, prima che il gallo cantasse, l'omino la riportò indietro. Quando la principessa si alzò, disse al padre: -Questa notte ho fatto un sogno strano: mi è parso di esser stata portata via e di aver servito un soldato, cui dovevo fare da serva-. Allora il re disse: -Fa' un buchino nella tasca e riempila di ceci: il sogno potrebbe essere vero, e in questo caso i ceci usciranno e lasceranno una traccia sulla strada-. La fanciulla seguì il consiglio, ma l'omino aveva udito le parole del re e, quando si fece sera e il soldato gli ordinò di andare a prendere di nuovo la principessa, egli sparse ceci per tutta la città, e quei pochi che caddero dalla tasca della principessa non lasciarono nessun segno. L'indomani, la gente mondò ceci per tutto il giorno. La principessa tornò a raccontare al padre ciò che le era successo, e il re disse: -Tieni con te una scarpa, e nascondila là dove ti trovi-. L'omino nero udì ogni cosa e, quando il soldato gli ordinò di andare a prendere di nuovo la principessa, gli disse: -Questa volta non posso più esserti di aiuto: ti andrà male se ti scoprono-. Ma il soldato non sentì ragione. -Allora domani mattino presto dovrai fuggire, quando l'avrò riportata a casa- disse l'omino. La principessa tenne con s‚ una scarpa e la nascose nel letto del soldato. La mattina seguente, quand'ella si trovò nuovamente presso il padre, questi fece cercare la scarpa di sua figlia per tutta la città, e la trovarono dal soldato. Egli, benché‚ avesse lasciato la stanza, fu presto raggiunto e gettato in prigione. Così ora giaceva in catene e, per giunta, nella fuga precipitosa aveva dimenticato il meglio, la luce azzurra e l'oro, e non aveva in tasca che un ducato. Mentre, tutto triste, se ne stava alla finestra della prigione, vide passare uno dei suoi camerati, lo chiamò e disse: -Se mi vai a prendere il fagottino che ho lasciato alla locanda, ti darò un ducato-. Quello andò e in cambio di un ducato gli portò la luce azzurra e l'oro. Il prigioniero accese la sua pipa e chiamò l'omino nero che disse: -Non temere! Va' tranquillamente dal giudice, e accada quello che vuole; bada solo di prendere con te la luce azzurra-. Il soldato fu sottoposto a giudizio e condannato a morte. Quando lo condussero fuori, chiese al re un'ultima grazia. -Quale?- domandò il re. -Di fare ancora una pipata per via.- -Puoi farne anche tre se vuoi- rispose il re. Allora il soldato tirò fuori la sua pipa e l'accese alla luce azzurra, ed ecco subito comparire l'omino nero. -Uccidi tutti quanti- disse il soldato -e il re fallo in tre pezzi.- Allora l'omino incominciò a far fuori la gente intorno, sicché‚ il re chiese grazia e per avere salva la vita diede al soldato il regno e sua figlia in isposa.
Es war einmal ein Soldat, der hatte dem König lange Jahre treu gedient: als aber der Krieg zu Ende war und der Soldat, der vielen Wunden wegen, die er empfangen hatte, nicht weiter dienen konnte, sprach der König zu ihm 'du kannst heim gehen, ich brauche dich nicht mehr: Geld bekommst du weiter nicht, denn Lohn erhält nur der, welcher mir Dienste dafür leistet.' Da wußte der Soldat nicht, womit er sein Leben fristen sollte: ging voll Sorgen fort und ging den ganzen Tag, bis er abends in einen Wald kam. Als die Finsternis einbrach, sah er ein Licht, dem näherte er sich und kam zu einem Haus, darin wohnte eine Hexe. 'Gib mir doch ein Nachtlager und ein wenig Essen und Trinken' sprach er zu ihr, 'ich verschmachte sonst.' 'Oho!' antwortete sie, 'wer gibt einem verlaufenen Soldaten etwas? doch will ich barmherzig sein und dich aufnehmen, wenn du tust, was ich verlange.' 'Was verlangst du?, fragte der Soldat. 'Daß du mir morgen meinen Garten umgräbst.' Der Soldat willigte ein und arbeitete den folgenden Tag aus allen Kräften, konnte aber vor Abend nicht fertig werden. 'Ich sehe wohl' sprach die Hexe, 'daß du heute nicht weiter kannst: ich will dich noch eine Nacht behalten, dafür sollst du mir morgen ein Fuder Holz spalten und klein machen.' Der Soldat brauchte dazu den ganzen Tag, und abends machte ihm die Hexe den Vorschlag, noch eine Nacht zu bleiben. 'Du sollst mir morgen nur eine geringe Arbeit tun, hinter meinem Hause ist ein alter wasserleerer Brunnen, in den ist mir mein Licht gefallen, es brennt blau und verlischt nicht, das sollst du mir wieder heraufholen.' Den andern Tag führte ihn die Alte zu dem Brunnen und ließ ihn in einem Korb hinab. Er fand das blaue Licht und machte ein Zeichen, daß sie ihn wieder hinaufziehen sollte. Sie zog ihn auch in die Höhe, als er aber dem Rand nahe war, reichte sie die Hand hinab und wollte ihm das blaue Licht abnehmen. 'Nein' sagte er und merkte ihre bösen Gedanken, 'das Licht gebe ich dir nicht eher, als bis ich mit beiden Füßen auf dem Erdboden stehe.' Da geriet die Hexe in Wut, ließ ihn wieder hinab in den Brunnen fallen und ging fort.
Der arme Soldat fiel, ohne Schaden zu nehmen, auf den feuchten Boden, und das blaue Licht brannte fort, aber was konnte ihm das helfen? er sah wohl, daß er dem Tod nicht entgehen würde. Er saß eine Weile ganz traurig, da griff er zufällig in seine Tasche und fand seine Tabakspfeife, die noch halb gestopft war. 'Das soll mein letztes Vergnügen sein' dachte er, zog sie heraus, zündete sie an dem blauen Licht an und fing an zu rauchen. Als der Dampf in der Höhle umhergezogen war, stand auf einmal ein kleines schwarzes Männchen vor ihm und fragte 'Herr, was befiehlst du?, 'Was habe ich dir zu befehlen?, erwiderte der Soldat ganz verwundert. 'Ich muß alles tun' sagte das Männchen, 'was du verlangst.' 'Gut' sprach der Soldat, 'so hilf mir zuerst aus dem Brunnen.' Das Männchen nahm ihn bei der Hand und führte ihn durch einen unterirdischen Gang, vergaß aber nicht, das blaue Licht mitzunehmen. Es zeigte ihm unterwegs die Schätze, welche die Hexe zusammengebracht und da versteckt hatte, und der Soldat nahm so viel Gold, als er tragen konnte. Als er oben war, sprach er zu dem Männchen 'nun geh hin, bind die alte Hexe und führe sie vor das Gericht.' Nicht lange, so kam sie auf einem wilder Kater mit furchtbarem Geschrei schnell wie der Wind vorbeigeritten, und es dauerte abermals nicht lang, so war das Männchen zurück, 'es ist alles ausgerichtet' sprach es, 'und die Hexe hängt schon am Galgen - Herr, was befiehlst du weiter?, fragte der Kleine. 'In dem Augenblick nichts' antwortete der Soldat, 'du kannst nach Haus gehen: sei nur gleich bei der Hand, wenn ich dich rufe.' 'Es ist nichts nötig' sprach das Männchen, 'als daß du deine Pfeife an dem blauen Licht anzündest, dann stehe ich gleich vor dir.' Darauf verschwand es vor seinen Augen.
Der Soldat kehrte in die Stadt zurück, aus der er gekommen war. Er ging in den besten Gasthof und ließ sich schöne Kleider machen, dann befahl er dem Wirt, ihm ein Zimmer so prächtig als möglich einzurichten. Als es fertig war und der Soldat es bezogen hatte, rief er das schwarze Männchen und sprach 'ich habe dem König treu gedient, er aber hat mich fortgeschickt und mich hungern lassen, dafür will ich jetzt Rache nehmen.' 'Was soll ich tun?' fragte der Kleine. 'Spät abends, wenn die Königstochter im Bete liegt, so bring sie schlafend hierher, sie soll Mägdedienste bei mir tun.' Das Männchen sprach 'für mich ist das ein leichtes, für dich aber ein gefährliches Ding, wenn das herauskommt, wird es dir schlimm ergehen.' Als es zwölf geschlagen hatte, sprang die Türe auf, und das Männchen trug die Königstochter herein. 'Aha, bist du da?' rief der Soldat, 'frisch an die Arbeit! geh, hol den Besen und kehr die Stube.' Als sie fertig war, hieß er sie zu seinem Sessel kommen, streckte ihr die Füße entgegen und sprach 'zieh mir die Stiefel aus' warf sie ihr dann ins Gesicht, und sie mußte sie aufheben, reinigen und glänzend machen. Sie tat aber alles, was er ihr befahl, ohne Widerstreben, stumm und mit halbgeschlossenen Augen. Bei dem ersten Hahnschrei trug sie das Männchen wieder in das königliche Schloß und in ihr Bett zurück.
Am andern Morgen, als die Königstochter aufgestanden war ging sie zu ihrem Vater und erzählte ihm, sie hätte einen wunderlichen Traum gehabt, 'ich ward durch die Straßen mit Blitzesschnelle fortgetragen und in das Zimmer eines Soldaten gebracht, dem mußte ich als Magd dienen und aufwarten und alle gemeine Arbeit tun, die Stube kehren und die Stiefel putzen. Es war nur ein Traum, und doch bin ich so müde, als wenn ich wirklich alles getan hätte.' 'Der Traum könnte wahr gewesen sein' sprach der König, 'ich will dir einen Rat geben, stecke deine Tasche voll Erbsen und mache ein klein Loch in die Tasche, wirst du wieder abgeholt, so fallen sie heraus und lassen die Spur auf der Straße.' Als der König so sprach, stand das Männchen unsichtbar dabei und hörte alles mit an. Nachts, als es die schlafende Königstochter wieder durch die Straßen trug, fielen zwar einzelne Erbsen aus der Tasche, aber sie konnten keine, Spur machen, denn das listige Männchen hatte vorher in allen Straßen Erbsen verstreut. Die Königstochter aber mußte wieder bis zum Hahnenschrei Mägdedienste tun.
Der König schickte am folgenden Morgen seine Leute aus, welche die Spur suchen sollten, aber es war vergeblich, denn in allen Straßen saßen die armen Kinder und lasen Erbsen auf und sagten 'es hat heut nacht Erbsen geregnet.' 'Wir müssen etwas anderes aussinnen' sprach der König, 'behalt deine Schuh an, wenn du dich zu Bett legst, und ehe du von dort zurückkehrst, verstecke einen davon; ich will ihn schon finden.' Das schwarze Männchen vernahm den Anschlag, und als der Soldat abends verlangte, er sollte die Königstochter wieder herbeitragen, riet es ihm ab und sagte, gegen diese List wüßte es kein Mittel, und wenn der Schuh bei ihm gefunden würde, so könnte es ihm schlimm ergehen. 'Tue, was ich dir sage,' erwiderte der Soldat, und die Königstochter mußte auch in der dritten Nacht wie eine Magd arbeiten; sie versteckte aber, ehe sie zurückgetragen wurde, einen Schuh unter das Bett.
Am andern Morgen ließ der König in der ganzen Stadt den Schuh seiner Tochter suchen: er ward bei dem Soldaten gefunden und der Soldat selbst, der sich auf Bitten des Kleinen zum Tor hinausgemacht hatte, ward bald eingeholt und ins Gefängnis geworfen. Er hatte sein Bestes bei der Flucht vergessen, das blaue Licht und das Gold, und hatte nur noch einen Dukaten in der Tasche. Als er nun mit Ketten belastet an dem Fenster seines Gefängnisses stand, sah er einen seiner Kameraden vorbeigehen. Er klopfte an die Scheibe, und als er herbeikam, sagte er 'sei so gut und hol mir das kleine Bündelchen, das ich in dem Gasthaus habe liegen lassen, ich gebe dir dafür einen Dukaten.' Der Kamerad lief hin, und brachte ihm das Verlangte. Sobald der Soldat wieder allein war, steckte er seine Pfeife an und ließ das schwarze Männchen kommen. 'Sei ohne Furcht,' sprach es zu seinem Herrn, 'geh hin, wo sie dich hinführen, und laß alles geschehen, nimm nur das blaue Licht mit.' Am andern Tag ward Gericht über den Soldaten gehalten, und obgleich er nichts Böses getan hatte, verurteilte ihn der Richter doch zum Tode. Als er nun hinausgeführt wurde, bat er den König um eine letzte Gnade. 'Was für eine?' fragte der König. 'Daß ich auf dem Weg noch eine Pfeife rauchen darf.' 'Du kannst drei rauchen' antwortete der König, 'aber glaube nicht, daß ich dir das Leben schenke.' Da zog der Soldat seine Pfeife heraus und zündete sie an dem blauen Licht an, und wie ein paar Ringel vom Rauch aufgestiegen waren, so stand schon das Männchen da hatte einen kleinen Knüppel in der Hand und sprach 'was befiehlt mein Herr?, 'Schlag mir da die falschen Richter und ihre Häscher zu Boden, und verschone auch den König nicht, der mich so schlecht behandelt hat.' Da fuhr das Männchen wie der Blitz, zickzack`, hin und her, und wen es mit seinem Knüppel nur anrührte, der fiel schon zu Boden und getraute sich nicht mehr zu regen. Dem König ward angst, er legte sich auf das Bitten, und um nur das Leben zu behalten, gab er dem Soldaten das Reich und seine Tochter zur Frau.